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Rivoluzione alimentare: coltivare cibo nello spazio salverà le missioni?

Scopri come l'autosufficienza alimentare nello spazio, tra serre verticali e 'bistecche spaziali', potrebbe ridurre i costi delle missioni e aprire nuove frontiere per l'esplorazione umana e l'agricoltura sostenibile.
  • Astronauti desiderano cibo fresco, mancanza sentita nelle missioni estese.
  • L'Adaptive Vertical Farm di Space V mira a coltivare ortaggi in microgravità.
  • L'ESA studia 'bistecche spaziali' per ridurre i 25.000 euro pro capite al giorno.
  • Space V si concentra sull'autocoltivazione, l'ESA su alimenti cellulari.

Il panorama dell’esplorazione spaziale è attualmente attraversato da una metamorfosi significativa; la questione della sostenibilità assume un ruolo preponderante nel discorso contemporaneo. In particolare, ci si concentra sull’autosufficienza nelle missioni a lungo termine. Un aspetto fondamentale di tale evoluzione è rappresentato dalla facoltà di generare alimento nello spazio stesso, il che consente di attenuare il ricorso alle onerose e intricate forniture terrestri. Varie iniziative stanno emergendo tanto in Europa quanto nel territorio italiano, impegnandosi ad affrontare questa problematica attraverso strategie innovative e incoraggianti.

Coltivare nello spazio: una necessità per il futuro

Il bisogno di sviluppare metodi per la coltivazione alimentare in ambienti extraterrestri scaturisce da un imperativo fondamentale: assicurare un’alimentazione sana e genuina per gli astronauti nelle lunghe spedizioni spaziali. Al momento, i pasti a disposizione degli esploratori cosmici sono principalmente disidratati o liofilizzati; tali opzioni tendono a risultare ripetitive e prive delle vitamine necessarie. L’astronauta Franco Malerba evidenzia quanto desiderio ci sia attorno alla disponibilità del cibo fresco, considerando questo una delle mancanze più grandi affrontate durante le missioni estese.

Inoltre, gli effetti derivanti da questo tipo di ricerca si estendono significativamente oltre alla mera salute fisica degli astronauti. La potenzialità insita nella produzione alimentare spaziale potrebbe rivoluzionare le possibilità dell’uomo nel conquistare nuovi orizzonti su pianeti distanti come Marte o la Luna. Si apre così lo scenario ipotetico della creazione di avamposti autonomamente sostenibili in grado non solo di nutrire i membri delle spedizioni ma anche di limitare in modo consistente la loro dipendenza dai rifornimenti provenienti dalla Terra.

L’Italia in prima linea con Space V

L’Italia si sta affermando come protagonista indiscussa nella recente rivoluzione agricola spaziale, grazie all’iniziativa imprenditoriale Space V creata dall’astronauta Malerba. Questo innovativo progetto ha visto la nascita dell’Adaptive Vertical Farm, una serra specificamente concepita per la coltivazione degli ortaggi in condizioni di microgravità. Finanziato dall’agenzia spaziale italiana (ASI) con il supporto della società Altec, il programma si trova attualmente nella fase preliminare dello studio di fattibilità, che prevede sperimentazioni sia sulla Stazione Spaziale Internazionale sia sulle future strutture orbitali commerciali e sugli insediamenti lunari, programmati nel contesto della missione Artemis promossa dalla NASA.

La progettazione della serra realizzata da Space V pone particolare attenzione alla necessità fondamentale di ottimizzare i risultati produttivi all’interno dei limiti volumetrici imposti dallo spazio cosmico. Tra le problematiche rilevanti emerge quella legata alla fertirrigazione: l’alimentazione adeguata delle piante e dei loro substrati nutritivi. Nella prima fase del progetto verranno introdotte pratiche agricole basate sull’idroponica priva di terra, attraverso cui le radici riceveranno nutrimento tramite tubi porosi appositamente studiati. Successivamente, nel contesto del suolo lunare, si ipotizza un utilizzo efficace di materiali soggetti a maggiore robustezza e affidabilità rispetto ai metodi precedenti. Durante la manifestazione Euroflora tenutasi a Genova, è stata messa in mostra una versione innovativa dell’Adaptive Vertical Farm, suscitando grande curiosità tra i visitatori. Questo evento ha evidenziato il passaggio da una visione futuristica alla realizzazione di esigenze pratiche legate alla coltivazione spaziale, ora percepita come un’esigenza concreta nel panorama agricolo contemporaneo.

L’Europa punta sulle “bistecche spaziali”

L’Europa si impegna attivamente nella sperimentazione e implementazione di metodologie innovative destinate all’alimentazione spaziale. In tal senso, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha avviato un intraprendente progetto finalizzato alla coltivazione in orbita diretta dei generi alimentari – inclusi bistecche e patate – partendo da cellule isolate. Questa iniziativa ambiziosa viene condotta sotto la supervisione dell’Imperial College di Londra insieme all’impresa Frontier Space e ha il potenziale per abbattere notevolmente le spese correnti legate al rifornimento alimentare degli astronauti: tali costi sfiorano attualmente la somma quotidiana impressionante di 25.000 euro pro capite.

Al centro dell’approccio adottato si trova il bioreattore, uno strumento sofisticato progettato per sintetizzare varie categorie alimentari. Attraverso applicazioni avanzate nell’ingegneria genetica simili a quelle utilizzate nel processo fermentativo della birra, gli studiosi sono capaci non solo di incorporare vitamine ma anche estratti proteici e lipidici con carboidrati, giungendo così a comporre pasti completi anche assai elaborati. Un particolare ceppo lievitale è stato appositamente inviato nell’ambiente extraterrestre servendosi di una versione compatta del bioreattore stesso; ciò permetterà ai ricercatori di indagare sulla praticabilità dell’iniziativa nelle severe condizioni dello spazio cosmico.

Sebbene i primi prodotti ottenuti tramite bioreattore sulla Terra si presentino come una “melma color mattone”, l’Imperial College sta lavorando per migliorare l’aspetto e il sapore degli alimenti, consapevole che gli astronauti già trovano il cibo spaziale attuale poco appetitoso.

Verso un futuro di autosufficienza alimentare nello spazio

Gli sforzi profusi da Space V insieme a quelli dell’ESA delineano un panorama diversificato ed interconnesso finalizzato ad affrontare l’importante questione della nutrizione nelle missioni spaziali. Space V, focalizzandosi sull’autocoltivazione degli ortaggi freschi, si distingue per un approccio più diretto rispetto all’ESA, che aspira a generare alimenti complessi tramite tecniche innovative basate su singole cellule.

Entrambi i progetti hanno un potenziale notevole: non solo potrebbero cambiare radicalmente le nostre idee sull’alimentazione durante le esplorazioni extraterrestri, ma avrebbero anche effetti positivi sulla sostenibilità delle missioni a lungo termine. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che tali progressioni tecnologiche offrono una miriade di spunti significativi non solo nello spazio ma anche riguardo all’agricoltura sostenibile qui sulla Terra; infatti, le metodologie sviluppate in condizioni estreme potrebbero fornire soluzioni efficaci alle sfide ecologiche ed economiche provocate dalla scarsità e dai cambiamenti climatici sul nostro pianeta.

Riflessioni conclusive: un passo verso l’ignoto

Le attuali iniziative offrono uno spunto rilevante su quanto sia cruciale l’innovazione nel dominio spaziale. L’obiettivo non consiste semplicemente nel conquistare nuove dimensioni cosmiche; al contrario, bisogna farlo seguendo criteri sostenibili e responsabili. Questo contesto della space economy pone interrogativi importanti tra sfide da affrontare e opportunità da cogliere; ci induce ad oltrepassare gli attuali confini dell’esplorazione umana verso una prospettiva dove l’umanità possa realmente prosperare anche oltre il nostro pianeta blu.

Il concetto fondamentale della space economy, riferito all’ambito trattato qui, implica principalmente il principio dell’utilizzo delle risorse in situ (ISRU): si tratta della strategia che mira ad impiegare materiali già presenti nell’ambiente spaziale per diminuire la necessità d’interventismo terrestre. Un chiaro esempio potrebbe essere la coltivazione agraria nelle orbite stellari: grazie a questo approccio si avrebbe la possibilità d’introdurre produzioni alimentari direttamente sul luogo stesso dell’insediamento umano orbitante o planetario, minimizzando le spese sostenute e i rischi derivanti dal trasporto interplanetario.

Inoltre, esiste una dimensione più sofisticata correlata alla tematica citata: parliamo infatti della bioeconomia spaziale. Essa prende corpo nella visione dello spazio come palcoscenico privilegiato per mettere a punto modalità biologiche pionieristiche sfruttando specifiche condizioni come microgravità o esposizione ai raggi cosmici: questo consentirebbe così non solo la produzione alimentare, ma anche lo sviluppo diretto e innovativo di medicinali o ulteriori prodotti considerati preziosi nell’economia terrestre, ma realizzati sotto queste nuove realtà astropolitiche. La recente evoluzione degli eventi sollecita una meditazione più ampia: che cosa implica per l’umanità l’intenzione di oltrepassare le barriere del nostro mondo? Quali conseguenze etiche, sociali ed economiche si annidano dietro questa innovativa frontiera? I chiarimenti riguardo a queste questioni andranno a formare non solo il destino dell’esplorazione spaziale, ma anche il nostro posizionamento all’interno dell’universo stesso.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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