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- Velocità detriti: superano i 7,5 km/s, minaccia catastrofica.
- Clearspace-1: missione da oltre 100 milioni di euro per rimuovere VESPA.
- IADC: linee guida per mitigazione, applicazione non vincolante.
L’urgenza della bonifica orbitale
L’accumulo di detriti spaziali rappresenta una sfida crescente per la
sostenibilità delle attività aerospaziali. La quantità di frammenti,
variabile per dimensioni e tipologia, orbitanti attorno al nostro pianeta ha raggiunto livelli allarmanti. Questo scenario comporta rischi significativi
per le infrastrutture spaziali attive, i satelliti operativi e le future
missioni. La velocità con cui questi detriti si muovono, spesso superiore
ai 7,5 chilometri al secondo, trasforma anche il più piccolo
oggetto in una minaccia potenziale in grado di causare danni catastrofici in
caso di collisione.
La situazione è talmente critica che gli esperti parlano di una vera e
propria “corsa contro il tempo”. La finestra di opportunità per intervenire
e mitigare il problema si sta restringendo. Se non si agisce rapidamente, potremmo raggiungere un punto di non ritorno in cui la proliferazione di
detriti innescherà una serie di collisioni a cascata, rendendo determinate
orbite inaccessibili per decenni, se non addirittura per secoli. Questo
fenomeno, noto come “sindrome di Kessler”, paralizzerebbe l’accesso
allo spazio e comprometterebbe gravemente le attività spaziali future,
con ripercussioni economiche, scientifiche e strategiche incalcolabili.
La Space Economy moderna dipende in modo cruciale
dall’accessibilità e dalla sicurezza dello spazio. I satelliti svolgono un
ruolo fondamentale in numerosi settori, dalle telecomunicazioni alla
navigazione, dall’osservazione della Terra alla meteorologia. La perdita o
il danneggiamento di questi satelliti a causa dell’impatto con detriti
spaziali avrebbe conseguenze devastanti per l’economia globale e per la
vita quotidiana di miliardi di persone. Per questo motivo, la bonifica
dell’orbita terrestre è diventata una priorità assoluta per le agenzie
spaziali, le aziende private e i governi di tutto il mondo.
Il problema dei detriti spaziali non è solo tecnico, ma anche etico ed
economico. Le attività spaziali generano benefici per l’intera umanità, ma
comportano anche rischi ambientali che devono essere gestiti in modo
responsabile. La “tragedia dei beni comuni” è un concetto
economico che ben si applica alla situazione attuale: se ogni attore spaziale
persegue i propri interessi senza tenere conto delle conseguenze a lungo
termine, si rischia di compromettere una risorsa preziosa e limitata come
l’orbita terrestre. Per questo motivo, è necessario promuovere una cultura
della sostenibilità spaziale e incentivare comportamenti virtuosi da parte di
tutti gli operatori.

Tecnologie innovative per la rimozione dei detriti
La rimozione dei detriti spaziali è una sfida tecnologica complessa che
richiede lo sviluppo di soluzioni innovative e diversificate. Non esiste una
tecnologia “universale” in grado di affrontare tutte le tipologie di
detriti, pertanto è necessario adottare un approccio multiforme che combini
diverse tecniche di cattura e deorbitazione.
Tra le tecnologie più promettenti spiccano i satelliti “spazzini”, progettati
per intercettare e rimuovere i detriti più pericolosi. Questi veicoli
spaziali sono dotati di sistemi avanzati di navigazione, guida e controllo,
nonché di bracci robotici o altri meccanismi di cattura. Una volta
assicurato il detrito, il satellite lo deorbita, facendolo bruciare
nell’atmosfera terrestre in modo controllato. L’Agenzia Spaziale
Europea (ESA) è particolarmente attiva in questo settore, avendo
commissionato la prima missione al mondo per la rimozione di un detrito di
grandi dimensioni, denominata Clearspace-1.
Il progetto Clearspace-1, il cui lancio è previsto nei prossimi anni, prevede
l’utilizzo di un satellite “cacciatore” dotato di quattro bracci robotici
in grado di afferrare il detrito bersaglio, un vecchio adattatore di carico
utile (VESPA) del peso di circa 100 chilogrammi. Una volta catturato il detrito, il satellite lo
trasporterà in un’orbita più bassa, dove entrambi bruceranno nell’atmosfera.
La missione Clearspace-1 rappresenta un passo fondamentale verso la
dimostrazione della fattibilità tecnica della rimozione attiva dei detriti e
la validazione delle tecnologie chiave necessarie per future missioni di
bonifica orbitale. Il costo di questa missione è stimato in oltre 100 milioni di euro, evidenziando la complessità e l’onerosità
di tali operazioni.
Un’altra tecnologia promettente è rappresentata dai laser ad alta energia, in
grado di vaporizzare i detriti più piccoli o di modificarne la traiettoria.
Il Giappone è all’avanguardia in questo campo, con un
progetto congiunto tra SKY Perfect JSAT e l’Istituto di
Ricerca Fisica e Chimica (RIKEN) per lo sviluppo di un
sistema di rimozione dei detriti basato su laser. Questo sistema prevede
l’utilizzo di un raggio laser focalizzato per vaporizzare la superficie dei
detriti, creando un impulso di energia che ne destabilizza la rotazione e ne
provoca il rientro nell’atmosfera. Sebbene questa tecnica sia particolarmente
adatta per la rimozione di detriti di piccole dimensioni, solleva
interrogativi sulla sua efficacia nel rimuovere oggetti più grandi e sulla
possibilità di generare nuovi frammenti durante il processo di
vaporizzazione.
Oltre ai satelliti “spazzini” e ai laser, sono in fase di sviluppo numerose
altre tecnologie di cattura e deorbitazione, tra cui:
- Reti: utilizzate per avvolgere e catturare detriti di
varie dimensioni e forme. -
Arpioni: impiegati per perforare e agganciare detriti
solidi. -
Schiume espanse: utilizzate per aumentare la superficie
esposta dei satelliti in disuso e accelerarne il rientro nell’atmosfera. -
Nastri elettrostatici: dispiegati per interagire con il
campo magnetico terrestre e generare una forza di trascinamento che
rallenta i detriti.
La scelta della tecnologia più appropriata dipende dalle caratteristiche del
detrito bersaglio, dalla sua dimensione, forma, composizione e dalla sua
posizione orbitale. È probabile che in futuro si assisterà a un impiego
combinato di diverse tecniche per affrontare in modo efficace il problema dei
detriti spaziali.
Il quadro legale e politico
La rimozione dei detriti spaziali non è solo una sfida tecnologica, ma anche
una complessa questione legale e politica. Il diritto internazionale dello
spazio, sviluppato a partire dagli anni ’60, non fornisce risposte chiare a
tutte le problematiche connesse alla bonifica orbitale. In particolare,
sussistono incertezze riguardo alla giurisdizione sugli oggetti spaziali,
alla responsabilità per i danni causati dai detriti e alla legittimità delle attività di rimozione non autorizzate.
Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, il
principale strumento giuridico in materia, stabilisce che lo Stato di
lancio conserva la giurisdizione e il controllo sugli oggetti spaziali
registrati nel proprio registro. Questo principio implica che la rimozione di
un detrito senza il consenso dello Stato di origine potrebbe essere
considerata una violazione del diritto internazionale e un atto ostile. Tuttavia, il trattato non specifica cosa accade quando un oggetto spaziale
diventa un detrito e non è più controllabile.
La questione della responsabilità per i danni causati dai detriti spaziali è
un altro punto critico. La Convenzione sulla responsabilità per
danni causati da oggetti spaziali del 1972 prevede che lo Stato di
lancio sia responsabile per i danni causati dal proprio oggetto spaziale ad
altri oggetti spaziali o sulla superficie terrestre. Tuttavia, è spesso
difficile identificare con certezza l’origine di un detrito e stabilire un
nesso di causalità tra l’oggetto e il danno.
La crescente consapevolezza del problema dei detriti spaziali ha portato a
un dibattito internazionale sulla necessità di aggiornare il quadro legale
esistente. Alcuni esperti propongono l’elaborazione di un nuovo trattato che
definisca le regole per la rimozione dei detriti e chiarisca le
responsabilità degli Stati. Altri suggeriscono di adottare un approccio più
flessibile, basato su linee guida e codici di condotta volontari.
L’Inter-Agency Space Debris Coordination Committee (IADC), un
forum internazionale che riunisce le principali agenzie spaziali del mondo,
ha elaborato una serie di linee guida per la mitigazione dei detriti spaziali,
che raccomandano agli operatori di adottare misure per ridurre la
generazione di nuovi detriti e per deorbitare i satelliti a fine vita.
Tuttavia, queste linee guida non sono giuridicamente vincolanti e la loro
applicazione è lasciata alla discrezione degli Stati.
La governance dei detriti spaziali è una sfida complessa che
richiede un approccio multilaterale e una forte collaborazione internazionale.
È necessario trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere
l’ambiente spaziale e la libertà di accesso allo spazio, garantendo che le
attività di bonifica orbitale siano svolte in modo sicuro, trasparente e
responsabile.
Oltre la tecnologia: un futuro sostenibile per lo spazio
La “corsa” contro i detriti spaziali non si vince solo con tecnologie
avanzate. È necessario un cambiamento di mentalità, un nuovo approccio alla
gestione delle attività spaziali che metta al centro la sostenibilità
ambientale e la responsabilità intergenerazionale.
Questo cambiamento implica una maggiore attenzione alla prevenzione della
generazione di nuovi detriti, attraverso la progettazione di satelliti più
longevi e con sistemi di deorbitazione integrati, l’adozione di pratiche di
lancio più sicure e la promozione di una cultura della responsabilità tra
tutti gli operatori spaziali.
Inoltre, è necessario incentivare l’innovazione e lo sviluppo di modelli
economici circolari nello spazio, promuovendo il riutilizzo dei materiali, il riciclo dei satelliti e la creazione di nuove opportunità di business legate
alla bonifica orbitale. La Space Economy del futuro dovrà
essere un’economia circolare, in grado di minimizzare l’impatto ambientale
delle attività spaziali e di creare valore economico dalla gestione dei
rifiuti spaziali.
La tassonomia europea, un sistema di classificazione che
definisce quali attività economiche possono essere considerate
“sostenibili”, potrebbe svolgere un ruolo importante nell’indirizzare gli
investimenti verso progetti e tecnologie che contribuiscono alla bonifica
dell’orbita terrestre. Includere la rimozione dei detriti spaziali nella
tassonomia europea potrebbe incentivare il settore privato a investire in
questo settore e a sviluppare soluzioni innovative e sostenibili.
La sfida dei detriti spaziali ci pone di fronte a una domanda fondamentale:
che tipo di futuro vogliamo per lo spazio? Vogliamo continuare a trattarlo
come una discarica a cielo aperto, rischiando di compromettere le future
generazioni e di limitare le nostre capacità di esplorare l’universo? Oppure
vogliamo adottare un approccio più responsabile e sostenibile, trasformando
la bonifica orbitale in un’opportunità per creare una nuova economia
spaziale, basata sull’innovazione, la collaborazione e il rispetto per l’ambiente? La risposta a questa domanda determinerà il futuro dell’accesso allo spazio e il nostro ruolo nell’esplorazione del cosmo.
Amici appassionati di spazio, affrontiamo una sfida che tocca
direttamente la nostra idea di futuro. La Space Economy,
quel complesso ecosistema che unisce tecnologia, finanza e ambizioni
esplorative, ci offre infinite possibilità. Ma cosa succede se la “strada”
per raggiungere le stelle è disseminata di ostacoli, in questo caso,
detriti?
Pensateci: la “capacità orbitale”, ovvero lo spazio disponibile per
i satelliti, è una risorsa limitata. La presenza di detriti la riduce,
aumentando il rischio di collisioni e i costi assicurativi. Questo impatta
direttamente sul business dei lanci, delle telecomunicazioni e
dell’osservazione della Terra.
Ma c’è di più: il concetto di “servitizzazione” nello spazio. Immaginate di non dover più lanciare nuovi satelliti, ma di poter riparare,
aggiornare o rifornire quelli esistenti in orbita. Questo ridurrebbe
drasticamente la necessità di nuovi lanci e la produzione di detriti. Un
passo avanti verso un’economia spaziale circolare.
La domanda che dobbiamo porci è: siamo disposti a sacrificare il futuro
dell’esplorazione spaziale sull’altare del profitto immediato? La risposta,
credo, è chiara. Dobbiamo investire in tecnologie di rimozione dei detriti,
promuovere una regolamentazione internazionale più stringente e incentivare
un approccio responsabile da parte di tutti gli attori spaziali. Solo così
potremo garantire un futuro sostenibile per lo spazio e per l’umanità.